Critica della ragion pratica
Secondo Kant le norme risiedono nella ragione: la legge morale è un "fatto della ragione". Questa legge guida le nostre azioni imponendosi in modo incondizionato e universale, ossia in modo indipendente dalle circostanze particolari e dai bisogni istintuali. Essa ha la forma del "comando", in quanto impone i propri imperativi contrastando la sensibilità e gli impulsi egoistici.
Gli imperativi e le massime della ragione
Kant distingue l'uso pratico da quello teorica, quando parla di ragione. Nell'uso pratico viene esaltata la ragione perché è indipendente rispetto l'esperienza, nell'uso teorico essa si distacca dall'esperienza per inseguire le illusioni metafisiche. La ragion pratica corrisponde con la volontà intesa come la facoltà che permette di agire sulla base di principi normativi. in particolare Kant riconosce due tipi di principi della ragion pratica: le massime e gli imperativi.
Le massime son prescrizioni di carattere soggettivo (per me è giusto vendicarmi del male ricevuto);
Gli imperativi sono prescrizioni oggettive, hanno valore assoluto (la vita è un dono) e a loro volta si dividono in imperativi ipotetici ( sono strumentali: "devo studiare per avere la vacanza in regalo") e in imperativi categorici (sono determinati e incondizionati: "devo studiare perché devo")
Morale
Secondo Kant la moralità deve essere libera e autonoma rispetto alle situazioni dell'esperienza, e dunque universale e incondizionata.
Su di essa di forma la religione, infatti le principali dottrine religiose sono postulati della ragion pratica:
- l'esistenza di Dio garantisce la possibilità del sommo bene;
- l'immoralità dell'anima garantisce la realizzabilità del sommo bene;
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